A testimonianza del suo ruolo di laboratorio permanente e crocevia nel quale si incontrano testimonianze artistiche dei secoli passati ed esperienze espressive contemporanee il Museo "Marca" di Catanzaro propone la mostra-progetto "Archeologia del presente", a cura del direttore artistico del museo, Sergio Risaliti.
Gli artisti invitati sono Paola De Pietri, Flavio Favelli e Davide Rivalta. L'intento è quello di legare il linguaggio contemporaneo al territorio e alla sua storia: Paola De Pietri, fotografa, presenta 15 scatti inediti: ritratti e paesaggi di Catanzaro e dintorni. Flavio Favelli, autore del bar del "Mambo" di Bologna, oltre ad aver progettato il bar del Museo "Marca", esibisce due installazioni. Davide Rivalta espone diverse sculture in gesso, bronzo e resina, in parte inedite, che raffigurano una capra, un asino, un'aquila, un tacchino. Gli stessi animali compaiono, trasfigurati, anche nelle tele dei paesaggisti ottocenteschi della Pinacoteca e Gipsoteca, quasi a stabilire un dialogo. I progetti dei tre artisti sono tutti interventi site specific: ovvero opere pensate, progettate ed eseguite sul posto, per questo contesto. Tutto nasce immaginando una geometria di riferimenti e suggestioni fluida e decentrata che comprende l'interno del museo ma anche l'esterno, la città e il territorio complesso della provincia, un contesto demo-etno-antropologico che si estende tra la costa e le catene montuose dell'Appennino calabrese. Flavio Favelli è uno scultore che costruisce o ricostruisce luoghi pubblici: nel senso però che restituisce alle persone luoghi che prima di essere nella realtà sono incubati nelle pieghe della memoria.
Anche Davide Rivalta si azzarda a entrare in un territorio che solo apparentemente può apparire anacronistico. E pur evidenziando formalmente e con la scelta programmatica del genere e del soggetto un suo legame con la tradizione e il linguaggio classico dell'arte, la sua opera è del tutto figlia della nostra epoca. Quella di Rivalta è infatti un'opera che incorpora il linguaggio plastico moderno di Fontana e quello dell'Arte povera, così come il gesto informale e quello performativo. Paola De Pietri cerca l'altro e il diverso: prima di tutto cerca un tempo diverso. Per lei fotografare significa darsi la possibilità di rallentare il battito del tempo, il fluire delle visioni, l'impressione della realtà stessa. Questo rallentamento apre inedite esperienze: lascia varchi all'altro, all'inatteso. È ancora l'epifania, cioè il manifestarsi di un diverso tempo dell'esserci. E come icone, le cose di Paola De Pietri, appaiono ritratte con ferma attenzione per il dettaglio e la veridicità, eppure si sostanziano di una indimenticabile ma significativa figuratività metafisica. Sono forme del figurale piuttosto che riproduzioni figurative. Allora le cose, i paesaggi o le persone che abbiamo di fronte sono più vere del vero, sono esattamente dove ha inizio e corso la loro autenticità, la loro fondazione ontologica. Nominarle significa vederle e incontrarle non nel nostro universo di controllo ma in una zona franca, spostata piuttosto verso l'al di là. In uno spazio ma ancor più in un tempo che è quello originale del loro venire al mondo. Anche Paola De Pietri parte dall'arte per andare verso il mondo, per restituire, attraverso la bellezza e la verità, un'occasione di conoscenza precedente o estraniante. Il nome delle cose, questo è il progetto di Paola De Pietri, è un omaggio a questa terra e anche un lavoro sui fondamenti del linguaggio visivo.
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